Riuscite ad immaginare come sarà il mondo tra 20 anni?
Pensate un pianeta super informatizzato nel quale le persone vivono in grandi metropoli, circondate dal cemento? Potrebbe non essere così.
I ritmi di vita sempre più frenetici e alienanti e la crisi economica che stiamo attraversando portano sempre più giovani a riscoprire i valori legati alla ruralità. Intorno a questo fenomeno si sta sviluppando un movimento di ricercatori e innovatori che studiano soluzioni e strumenti di supporto alle aziende agricole e ai loro prodotti.
Forse le città hanno smesso di essere il luogo prediletto dove il benessere economico prosperava, fulcro della produzione materiale ed immateriale, dove le personali ambizioni potevano realizzarsi.
Giornalmente aumenta il numero delle persone che abbandonano i centri urbani per stabilirsi in zone, in passato definite periferiche, per dedicarsi all’artigianato e all’agricoltura, scegliendo di tornare a lavori manuali non con spirito nostalgico ma proiettandosi in una dimensione glocal, valorizzando tutte le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie. La Coldirretti ha istituito a questo proposito un premio l’Oscar green, che premia le imprese agricole di eccellenza che hanno sapientemente unito tradizione e nuove tecnologie.
In Toscana lo scorso 25 ottobre è avvenuta la premiazione per l’anno 2013; tra i vincitori “Le Ceregne” nella provincia di Arezzo, che ha investito nella comunicazione sul web e sui social per attirare clienti stranieri nell’agriturismo, e l’Istituto Comprensivo Statale E. Fermi di Serravalle Pistoiese, una realtà scolastica che ha sviluppato un progetto di integrazione tra città e campagna, utilizzando l’agricoltura come momento di incontro ed inclusione tra alunni con problematiche cognitive e il resto della classe.
La cultura connessa in cui ci troviamo immersi rende noi consumatori sempre più informati, consapevoli e interessati al “romanzo” creato intorno al prodotto. Raccontare la storia dei prodotti e dei processi di realizzazione significa offrire al consumatore non solo la massima trasparenza e tracciabilità, ma anche educare e intrattenere.
Lo storytelling sui prodotti enograstronomici diviene un’azione comunicativa, credibile e genuina, che va a supporto del territorio e delle sua cultura, stimolando allo stesso tempo nuovi tipi di turismo: slow, agriturismo, enogastronomico.
Grazie ad Internet oggi si sono diffusi nuovi modelli organizzativi, dove la Rete non funge solo da infrastruttura tecnica di supporto ma costituisce, piuttosto, una potente metafora organizzativa che genera soluzioni orizzontali basate sul concetto del ‘peer-to-peer’, dell”open source’ e più recentemente del ‘crowd-sourcing’ e del ‘crowd-funding’.
Un esempio di ‘crowd-funding’ legato all’agricoltura lo abbiamo con un progetto che viene da una struttura di nome “Podere San Giuliano”, in provincia di Bologna. I proprietari del podere, Federica Frattini e Andrea Monteguti, hanno deciso di creare un orto sociale mettendo a disposizione un ettaro del proprio terreno, per permettere alle famiglie della zona di acquistare i prodotti a prezzi vantaggiosi e a quelle in stato di necessità, di ottenerli gratuitamente. Per mettere a sistema tutto questo processo c’è la necessità di costruire una piattaforma di e-commerce, che permetterà di conoscere la disponibilità della produzione per effettuare acquisti a prezzi sociali e che distribuirà i buoni d’acquisto gratuiti su un 25% del raccolto attraverso canali affidabili, offrendo anche la possibilità, a chi non può muoversi, di ricevere a casa la spesa. La piattaforma di crowd-founding utilizzata per promuovere il progetto è Com-Unity.
Un ruolo fondamentale è quindi quello giocato dalla Rete sotto vari aspetti tra cui quello di integrare e favorire una richiesta sempre maggiore di “autenticità” dei prodotti. Proprio per questo ad IF2013 avremo una sezione interamente dedicata ai temi della ruralità e dell’innovazione in riferimento all’agricoltura e ai suoi prodotti, ma anche all’affermarsi di nuovi stili alimentari ed esistenziali. Un nuovo modo di vivere la cittadinanza che parte dalla costruzione del paradigma #smartrural.
Fonte: http://www.internetfestival.it/agricoltura-2-0-recuperare-tradizioni-per-costruire-il-futuro/
Grazie al suolo lavico ricco di minerali, all'ottimo drenaggio e al clima mediterraneo, l'agricoltura vesuviana è da considerarsi unica per varietà di produzioni e per originalità di sapori. Circa cento specie di albicocche esistenti, tra cui la Pellecchiella, considerata la migliore per il suo gusto particolarmente dolce e per la compattezza della polpa. Le ciliege sono coltivate per lo più alle falde del Monte Somma. I famosi Pomodorini da serbo (del "piennolo") sono di piccole dimensioni, tondeggianti, con una caratteristica punta alla base (il "pizzo") e hanno un sapore dolce-acidulo dovuto alla particolare concentrazione di zuccheri e sali minerali. Raccolti in parte acerbi in estate e conservati legati ad uno spago attorcigliato a cerchio in luoghi asciutti e ventilati, maturano lentamente, conservando la polpa gustosa e succulenta, protetta dalla buccia che appassisce. Vengono usati sulla pasta, sulla pizza e fanno ottimi sughi per il pesce e la carne. Alle falde del vulcano sono inoltre coltivate l'uva Falanghina del Vesuvio, la Coda di Volpe (chiamata localmente Caprettone) e il Piedirosso del Vesuvio, dalle quali si ricava il famoso Lacryma Christi. Un cenno particolare va fatto all'uva Catalanesca, che si coltiva in piccole quantità per lo più alle falde del Monte Somma. Nota nel secolo scorso soprattutto come uva da tavola ha finalmente ricevuto nel 2011 il marchio IGT per il vino singolare dal colore opaco e retrogusto forte, ricavato dalla stessa. (Fonte: http://www.vesuvioinrete.it/parco.htm)
Una delle caratteristiche e nel contempo delle criticità dell’agricoltura vesuviana è la ridotta superficie colturale per unità aziendale. Conseguenza della più generale problematica del frazionamento dei fondi rustici, essa comporta rese tendenzialmente inadeguate a compensare i costi fissi dell’attività agricola. Altre criticita' sono costituite dalla marginalità e dallo stato di “immersione” di gran parte delle attività produttive, dall'assenza di una cultura della cooperazione sia direttamente tra gli imprenditori, sia tra i soggetti istituzionali, dall'assenza di Know How in relazione a tipologie e modalità di sviluppo connesse alle aree protette e, più in generale, all’ecoturismo.
Basata originariamente sul latifondo raccolto intorno alla masseria o alla villa padronale, l'agricoltura vesuviana si è mantenuta sostanzialmente inalterata sino al secondo dopoguerra. La svolta nella pratica agricola locale è avvenuta nel corso degli anni 60, epoca in cui il generale fenomeno di frammentazione delle proprietà agricole è stato aggravato, soprattutto lungo la fascia costiera, dalla coeva ondata edificatoria.
A ricordo degli antichi latifondi rimangono, estremamente diffusi sul territorio e tutto sommato in buono stato di conservazione (tali da poter essere recuperati e riqualificati), molti esempi di architettura rurale colonica, un discreto numero di masserie e ville padronali, rilevanti tracce di un imponente sistema di irrigazione basato su pozzi vasche e condotti per il trasporto delle acque.
Alla pressoché totale assenza di politiche di sviluppo rurale integrato dell'area, comincia a fare da contraltare una tumultuosa evoluzione nel settore delle produzioni biologiche e tipiche. Creando in prospettiva le giuste condizioni, potrebbero forse oggi attecchire, meglio che in passato, iniziative di cooperazione finalizzate alla tutela e alla commercializzazione del prodotti, ovvero alla loro trasformazione, ovvero ancora all’avvio di attività che sfruttando lo straordinario contesto ambientale (archeologico/culturale e naturalistico), sviluppino le notevoli potenzialità del turismo sociale e sostenibile.